Questa pagina prende ispirazione dal mio personale percorso di coaching, che ha tratto notevoli benefici dall’uso di un mio canale di espressione primaria per comunicare le emozioni nascoste dietro le immagini. Mi piace fotografare, ma lo scatto non segue una logica razionale. Tuttavia, esprime qualcosa che arriva direttamente all’anima, senza filtri.
Voglio proporre il mio esempio come un possibile metodo da utilizzare anche con le persone che decideranno di avvicinarsi a questa proposta. Mi piace l’idea di chiamarla il “senso della vita”, come un programma televisivo di diversi anni fa, in cui i protagonisti, in un momento di intima condivisione delle immagini per loro importanti, ripercorrevano fotograficamente i ricordi più intensi delle loro storie.
L’immagine che rappresenta meglio l’inizio del mio viaggio dell’eroe è quella di un bambino asiatico, fotografato durante un esprienza che feci molti anni fa in Cambogia. Mi trasmette l’idea di un attraversamento, in cui si riflette il mondo che si sta svelando davanti a lui. Era un periodo particolarmente tortuoso a livello emotivo, e questa foto mi evoca una forte spinta nel procedere avanti.
Forse quella che mi coinvolge spiritualmente di più, e non so neanche esprimere il perché, è una foto “fuggitiva” ed impossibile, di questa donna che prega in una moschea. Ha dei colori e un’intensità incredibili. Per me è la rappresentazione più profonda dell’essere umano. Non riesco neanche a indicare ciò che essa può rappresentare. Forse è quello che viene chiamato Anima. C’è il tutto dentro questa foto. Trascina e trattiene contemporaneamente. È profonda ed evocativa, contiene il mondo in un’unica immagine.
Nella realizzazione dello scatto del Colosseo, scoprii la mia capacità di scegliere e di fare qualcosa in totale autonomia e indipendenza: non era più necessaria la compagnia per godersi dei momenti “solitari” che mi permettevano di immergermi completamente nell’esperienza che avevo deciso di affrontare.
La semplice bellezza di questa immagine racconta come stessi vivendo fino in fondo quel momento, inducendomi a prendermi il tempo necessario per scattare una foto “tipica” ma di una bellezza non banale.
Un’immagine scattata sul ponte di Brooklyn, in un’atmosfera spettrale e tetra. La vista sfuggente di persone “depersonalizzate” dallo sfocato, che perdono la loro umanità e unicità. Sono diventate ombre inconsistenti che si aggirano nella città, senza più un’identità. Ma quelle persone ce l’hanno: siamo noi, che proiettando le nostre paure e insicurezze su di loro, smettiamo di riconoscerle per quello che sono, trasformandole in semplici comparse nella nostra vita. Hanno perso il valore che potevano condividere con noi, perché glielo abbiamo tolto, assegnando loro un ruolo secondario.
Una foto con una composizione a doppio triangolo, i cui vertici sono formati da due gruppi di tre persone, sembra come se si puntassero. Mi evoca i ricordi di un viaggio in cui emerse un confronto inatteso, forse catturato in questa immagine. Il triangolo rappresenta persone appartenenti a famiglie o gruppi diversi che cercano di amalgamarsi, fondendosi senza sparire l’una nell’altra. Danno vita a qualcosa di nuovo, una forma dinamica che rappresenta l’esistenza di un soggetto diverso da quelli che lo hanno generato. È una tensione che spinge gli uni verso gli altri senza mai perdersi reciprocamente.
Del viaggio in Sudafrica, questa è sicuramente la foto che mi è rimasta più impressa. Uno sguardo di un titano triste, che nella sua possenza mostra l’occhio espressivo di un animale che può soffrire a causa delle angherie di un “animale” più cinico e opportunista: l’uomo. È una foto e uno sguardo, indistinguibili l’uno dall’altro.
La mia giornata tipo: questa foto è il risultato del compito che ci era stato assegnato dopo una lezione. Mi ha richiesto davvero tanto tempo per realizzarla, perché avevo allestito un set arrangiato e precario in una stanza senza luce. Ho fatto molti tentativi per fotografare su uno sfondo nero e impenetrabile degli oggetti che simboleggiassero l’inizio della giornata. L’orologio rappresentava il tempo che scorre incessantemente, non come un alleato, ma come qualcosa da non sprecare. La tazza per la colazione simboleggiava il momento fugace in cui sbrigarsi per non arrivare tardi al lavoro. Le ciambelline al vino fatte a mano da mia madre erano l’idea di prendersi cura di qualcuno usando il cibo come mezzo per trasmettere affetto.
L’immagine del dubbio e della perplessità di una persona imbrigliata in uno schema geometrico in cui probabilmente si sta ponendo delle questioni filosofiche. La gradinata spinge lo sguardo su di lui, un uomo tipico, comune che come tutti ha il diritto di farsi domande sul perchè della sua vita.
Una foto imperfetta che però esprime la dicotomia di un immagine conosciuta e di una mia emozione di intenso stupore e meraviglia. La sensazione di uscire da un ascensore che ti proietta direttamente a centinaia di metri nel cielo, come se stessi su un’astronave aliena. Ero con due amici, per la prima volta nella Grande Mela, nelle nostre gite avevamo accesso al balcone dell’Empire State Building. Non sapevamo cosa avremmo visto, non c’erano aspettative. Arrivati su, siamo rimasti impietriti e zitti per un minuto, con lo sguardo perso nel panorama, meravigliati ed estasiati da una visione che non avevamo mai sperimentato prima della nostra vita. Si vedeva tutto il brulicare dell’incessante formicaio umano sotto di noi, con la sensazione di essere nel cielo come dei Dei a guardare cosa succedesse sulla terra. L’idea di non avere aspettative è la chiave per vivere la magia del momento senza inquinarla di quello che sarebbe potuto essere.
Questa foto parla di caldo, di intensità di immagini viste contro luce che definiscono solo i contorni di una sagoma nera in un contrasto acceso di uno sfondo infuocato. Non ha bisogno di altre parole.
Vedere un vettore spaziale che si staglia sullo sfondo di un cielo quasi onirico, da una sensazione veramente strana. Lascia una scia, un simbolo di qualcosa di evanescente, che non ha consistenza ma nello stesso momento imprime nella nostra vita un legame verso due mondi che sembrano separati. E’ una strada di congiunzione tra il razionale (la terra) e l’irrazionale e irraggiungibile (il cielo, il sogno).